I bambini sono in casa ormai da mesi e adesso che è iniziata la fase 2 dell’emergenza Coronavirus, sebbene non possano tornare a scuola, possono iniziare ad uscire ma qualcuno di loro ha paura e non vuol farlo.
Quelli più grandi, avendo capito la gravità della situazione vissuta, sono spaventati. I più piccolini si sono trovati privati della gioia dell’incontro con i coetanei all’asilo senza avere gli strumenti per comprenderne le ragione.
Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Claudia Nicoletti, Psicologo clinico e psicoterapeuta Responsabile dell’équipe multidisciplinare DislessiaSTOP e collaboratore “Fondazione Salernum ANFFAS”, come aiutarli, cosa dire loro, a seconda della fase di crescita che stanno vivendo, per fargli affrontare questa nuova fase in sicurezza e serenità.
“La situazione che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo ha colto tutti di sorpresa. Per primi gli adulti si sono sentiti quantomeno smarriti, confusi o proprio spaventati per la presenza di una minaccia invisibile, che per alcuni purtroppo si è tristemente trasformata in vera e propria malattia e, in molti casi, ha portato alla perdita di persone care. Dai primi di marzo, nel mondo degli adulti, vi è stato un susseguirsi convulso di informazioni, decisioni governative e restrizioni ai comportamenti consentiti, che hanno notevolmente influito sulla quotidianità di tutti, nessuno escluso. Per i bambini gli aspetti più rilevanti di questa situazione, laddove non vi sia stata la malattia e la perdita, sono stati principalmente il cambiamento delle routine quotidiane, la limitazione nella naturalezza dei comportamenti sociali e l’incertezza percepita negli adulti di riferimento.
Le routine rappresentano una sicurezza per tutti e sono addirittura necessarie per il bambino: sono delle costanti, delle abitudini, azioni stabili e ripetitive, che danno certezze e favoriscono la consapevolezza che esistono delle regolarità nel nostro mondo e che è possibile fare delle previsioni su come vanno le cose e su ciò che accadrà nella realtà. L’interruzione brusca di una routine può disorientare, confondere e spaventare.
Quanto alle restrizioni nei comportamenti, queste hanno riguardato e riguardano tuttora in primis la sfera sociale, che rappresenta una delle dimensioni fondamentali dell’essere umano: l’uomo è un animale sociale, lo diceva sin dall’antichità Aristotele e lo hanno ampiamente confermato i più recenti modelli della psicologia. Spiegare ad un bambino che alcuni gesti spontanei propri delle relazioni sociali devono essere evitati, può essere profondamente confusivo, perché implica una disconferma della legittimità della naturalezza e una limitazione della spontaneità.
Infine la “lettura” sui volti, nei gesti e nelle parole degli adulti di riferimento del persistere di alcune emozioni negative quali la paura, la tristezza, la rabbia contribuisce a mantenere uno stato di allerta continuo, il cui perdurare ha ripercussioni al livello fisiologico ma anche psicologico.
Premesso ciò, è possibile accompagnare i bambini in questa situazione, passando dalla fase di maggiore restrizione che si è appena conclusa a quella attuale, in cui è possibile la ripresa parziale di alcune attività. Per farlo è importante fermarsi ad ascoltare i messaggi contenuti nei loro discorsi, cogliendone l’aspetto emotivo (come si sentono, quale emozione provano), ma anche cognitivo (le loro idee, le loro convinzioni) rispetto a quello che è accaduto e che sta ancora succedendo. Fondamentale è legittimare la paura o le altre eventuali emozioni negative, non negarle o minimizzarle: esse hanno un senso e devono essere riconosciute ed accettate. Dopodichè è importante aiutare i bambini a mantenere il senso di realtà e a non lasciarsi confondere o risucchiare da pensieri catastrofici e dalle emozioni che li accompagnano: abbiamo superato la fase più critica, la situazione sta oggettivamente migliorando, anche se occorre ancora essere prudenti. Usando degli accorgimenti, che sono stati efficaci finora e lo sono ancora, sarà possibile superare anche questa seconda fase, così come la prima è passata. Infine, fondamentale è dire ai bambini che non sarà sempre così, che sono stati bravi a mantenere la disciplina fino ad ora e che presto, continuando così, si uscirà da questa situazione, come è successo anche nelle pandemie che ci sono state nei secoli scorsi. Un invito e un esempio, quindi, a stare nel qui e ora, ancorati alla realtà e non in preda all’immaginazione”.
I più piccoli, invece, quelli che non hanno la possibilità di fare scuola a distanza perchè avevano iniziato l’asilo quest’anno o sono in età prescolare, non giocano da tempo con i loro amichetti o con i cugini. Quali le possibili conseguenze di questo “black out” e come accompagnarli per evitare che questo isolamento lasci segni o paure nel loro inconscio?
“Anche per i più piccoli, per i quali probabilmente la limitazione negli incontri con alcuni familiari può essere stata difficile da spiegare e ancor più da accettare, è bene sottolineare che adesso gli incontri con i familiari possono riprendere. è stato un periodo lungo, è vero, una situazione anomala e del tutto eccezionale, ma si sta tornando alla normalità. Talvolta può accadere nella realtà che vi siano dei momenti in cui è necessario cambiare le proprie abitudini per delle ragioni sulle quali non si ha controllo, ed è proprio quello che accaduto, ma non è sempre così, ed è possibile ritornare nei luoghi e con le persone che si vedevano abitualmente e a cui si è legati emotivamente. Ponendo attenzione a sé, a quello che suggeriscono e fanno gli esperti, accettando che a volte non si possa fare tutto quello che si desidera, possiamo aiutare i più piccoli a superare anche questo momento: importante è dare una visione realistica, ma anche positiva del futuro”.
La tecnologia, nella circostanza della pandemia, è stata uno strumento prezioso per evitare la solitudine. I teeneagers, abituati ad usarla, possono essersi isolati ancora di più nel loro mondo? come approcciare gli adolescenti per riuscire a comprendere il loro stato d’animo e sintonizzarsi con le loro sensazioni per superare insieme un periodo che, inevitabilmente rimarrà impresso nella loro memoria?
“Il periodo adolescenziale è già di per sè una fase della vita particolare e spesso turbolenta: la spinta all’autonomia, la differenziazione dagli adulti, i cambiamenti nel fisico, la ricerca del proprio modo di essere “grandi” sono fasi di un percorso che si snoda non senza difficoltà. Essere adolescenti all’inizio del terzo millennio, inoltre, significa attraversare questa fase, vivendo in una realtà completamente diversa da quella di qualunque altra generazione precedente: gli adolescenti di oggi sono i primi nativi digitali, individui per i quali la normalità è fatta di dita che strisciano su uno schermo, di social network, like ed emoticons, di ricerche online che in frazioni di secondo restituiscono quantità sorprendenti di informazioni relative all’oggetto della ricerca. Nulla a che vedere con quello che era stato fino a qualche decennio fa lo studio, la comunicazione, la socializzazione. Ormai lo smartphone è un compagno di vita, strumento di informazione, divertimento, studio, contatto sociale, lavoro. E l’altra faccia della medaglia è, appunto, l’isolamento, vale a dire l’esperienza, sempre più frequente all’interno delle famiglie di oggi, di giovani e ragazzi che vivono incollati ai loro cellulari, dipendenti dal messaggino della chat o dalla foto pubblicata sui social. Tuttavia, in queste settimane di emergenza, è stato un bene che la tecnologia ci fosse, perché ha consentito, pur se con una modalità diversa, di continuare a mantenere i contatti, di condividere le esperienze, le informazioni, i materiali e di riprendere anche le routine scolastiche. Ancora una volta adesso è compito dei genitori vigilare sui propri figli affinchè quello attraverso la tecnologia non rimanga l’unico canale per mettersi in relazione con gli altri e con il mondo. Qualora apparissero chiusi e disinteressati alla parziale ripresa delle attività consentite in questa fase 2, sarà importante aprire un dialogo con loro, non giudicante e colpevolizzante, ma franco ed aperto, grazie al quale far comprendere l’importanza per il benessere psicofisico di attività sportive, di uscite e di incontri dal vivo e non più solo virtuali. È preferibile non porsi come nemici della tecnologia (e quindi loro), ma insegnare ai ragazzi ad usarla in maniera critica, consapevole e responsabile, anche e soprattutto attraverso l’esempio dei cosiddetti “grandi”. Probabilmente però i ragazzi in realtà desiderano, come tutti peraltro, riprendere gli incontri dal vivo adesso e in questo caso è importante invitarli a mantenere ancora responsabilmente la prudenza e l’osservanza delle misure precauzionali necessarie, perché il virus non è ancora stato sconfitto e azioni improvvide potrebbero avere ripercussioni serie”.