Estate, desiderio di vacanza, si …..ma c’è un impedimento: il cane.
Acquistato senza riflettere, o per gioco, “perché il bambino lo vuole”, “perché anche gli amici lo hanno”!
Quello che tutti conosciamo come “il migliore amico dell’uomo”, all’improvviso diviene un peso di cui disfarsi, in maniera pericolosa perché potrebbe causare incidenti anche mortali e disumana perché l’abbandono è morte certa per investimento, fame e/o sete.
Il problema dell’abbandono è, evidentemente, anche espressione dei tempi in cui viviamo: la “pietas” sembra non far più parte del moderno corredo morale: il materialismo, il nichilismo, lo smodato soggettivismo imperano tra la popolazione, interessata solo a soddisfare i propri interessi e falsi bisogni, calpestando il “prossimo suo”, figurarsi un animale!
Ma cosa ci sta succedendo?
Eppure già i nostri predecessori greci e romani onoravano i propri cani: in Grecia era ben noto il mito di Mera, con il quale si onorava ed esaltava la fedeltà e l’amore incondizionato che questa creatura sapeva donare.
Si narra che Zeus, alla morte di Mera, pose la sua immagine tra le stelle, a sua imperitura memoria: la costellazione del Cane Minore.
Lo stesso mito fu ripreso dal romano Publio Ovidio Nasone nelle “Metamorfosi”, storie e miti della classicità greca e romana.
I nostri antenati li ricordavano dopo la loro dipartita con lapidi ed epitaffi: “Tu che percorri questa via, se mai poni mente a questa tomba, no, ti prego, non ridere, se è la tomba di un cane; fui pianto, e le mani del mio padrone hanno radunato la polvere, lui che ha anche fatto incidere queste parole sulla stele “ (II-III sec. d.C. – epitaffio di provenienza romana).
Ci sono poeti e scrittori che hanno ricordato i loro amici a quattro zampe; Lord George Gordon Noel Byron, il famoso poeta del secondo Romanticismo britannico, scriveva: “In questo luogo giacciono i resti di una creatura che possedette la bellezza ma non la vanità, la forza ma non l’arroganza, il coraggio ma non la ferocia. E tutte le virtù dell’uomo senza i suoi vizi……”.
Sarebbe forse il caso di fermarci a riflettere sui nostri comportamenti, sulle conseguenze degli stessi, e tornare a praticare quella “umanità” che ci sta definitivamente sfuggendo di mano.